Testo e foto by Matteo Peroni
In un’epoca in cui si cerca di raggiungere la cima per la via più difficile e si gareggia per fare più dislivello nel minor tempo possibile io ho scelto di andare controcorrente. Non mi interessa di arrivare per primo o superare i miei limiti per dimostrare qualcosa a qualcuno. Io voglio stupirmi ogni volta che vengo in questi posti e voglio vivere la montagna come piace a me senza dover necessariamente portare a casa la cima più alta o la ferrata più tecnica. Queste rocce pallide sono la ragione per cui ogni sabato mattina scelgo di alzarmi dal letto e percorrere centinaia di chilometri. Con il Catinaccio poi ho un legame speciale perché è il primo gruppo dolomitico in cui mi hanno portato i miei genitori da piccolo. Qui ho preso la mia prima funivia, ho dormito nel mio primo rifugio in quota, ho scoperto cosa fossero le vie ferrate ed ho fatto la mia prima cima sopra i 3.000m.
Arrivo alla fontana che si trova nei pressi del rifugio Gardeccia per rinfrescarmi un pochino in questa caldissima giornata estiva e proseguo con la lunga salita fino ai rifugi Preuss e Vajolet dove decido di fermarmi per mangiare una barretta. Mi godo lo splendido anfiteatro con le torri più famose delle dolomiti e chiudo gli occhi per un istante in modo da recuperare le energie per affrontare la parte più impegnativa della salita di oggi.
Sono tornato nel regno di Re Laurino per raggiungere di nuovo quella cima che la prima volta mi aveva tanto affascinato. Passo a salutare il buon Sergio al rifugio Passo Principe per il pranzo dopodiché mi dirigo verso l’attacco della ferrata per il Catinaccio di Antermoia. Sono solo, nella pancia delle dolomiti, che mi accompagnano su questa meravigliosa via fra cenge esposte e piccole pareti da superare.
Non è una via ferrata difficile ne tanto meno tecnica ma regala una vista sul gruppo davvero mozzafiato. Ad un certo punto inizio a vedere la croce e so che di li a poco dovrò percorrere la cresta che mi porterà in vetta. La stessa cresta che anni fa mi aveva tanto spaventato per l’esposizione e che adesso guardo con un occhio diverso, quello di una persona che fra queste cime ormai si è un po’ fatto le ossa e che sa bene come comportarsi rispettando il luogo in cui si trova ma soprattutto se stesso.
Arrivo poco prima del tramonto alla croce di vetta e quello che vedono i miei occhi in questo momento non è descrivibile a parole. Il cumolo di nuvole che mi ha accompagnato durante la salita in ferrata lascia finalmente lo spazio al tramonto che desideravo vedere da lassù. I colori si fanno sempre più accesi e nonostante la quota il sole riesce a scaldare il cuore e liberare la mente da qualsiasi pensiero. Quando si arriva in cima, i problemi e le ansie della vita di tutti i giorni svaniscono perché quassù tutto ciò che non è importante diventa talmente piccolo da non esistere più.
Preparo la mia postazione letto con il sacco da bivacco, il materassino e il sacco a pelo, bevo una tisana per scaldarmi e mi infilo sotto le coperte con le ultime luci del crepuscolo. Sono terribilmente stanco e di conseguenza riesco ad addormentarmi subito ma verso le 2 di notte un colpo di vento piuttosto forte mi sveglia.
Non capisco se sto ancora sognando perché quando apro gli occhi sopra di me vedo correre lente milioni di stelle lungo una striscia bianca che realizzo essere la via lattea ben distinguibile a occhio nudo. Mi rendo conto che sono sveglio nel cuore della notte a 3.000 m su una delle mie cime preferite senza nessuno attorno. Questo tipo di avventure mi fanno sentire vivo perché mi permettono di avere il rapporto più puro e incontaminato con la natura che mi circonda.
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